È entrata in vigore da pochissimi giorni la norma che ha esteso l’applicazione dell’affidamento diretto di lavori, ma già si discute di importanti modifiche.
La norma a cui si fa riferimento è l’art. 1, comma 912, l. 145/2018 (Legge di Bilancio 2019, entrata in vigore il 1° gennaio 2019), che ha elevato da 40mila a 150mila euro la soglia che permette di ricorrere all’ affidamento diretto per i lavori pubblici.
La novità ha fatto discutere molto fin dal primo giorno, sia per l’estensione dell’applicazione sia per la genericità del riferimento alla previa consultazione di tre operatori economici. Molti commentatori e operatori del settore hanno evidenziato come la deroga all’art. 36, comma 2 lett. a), del Codice aprisse la porta a un utilizzo indiscriminato dell’affidamento diretto, in una fascia di importo che costituisce la fetta più grossa del mercato dei lavori pubblici. Il solo vincolo della consultazione di tre imprese, poi, è apparso da subito così generico nella sua formulazione da consentire anche interpretazioni lesive dei principi di trasparenza e di concorrenzialità.
L’occasione di ritoccare la deroga si è presentata con l’apertura in Senato della discussione sulla legge di conversione al DL Semplificazioni (d.l. 135/2018), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 dicembre 2018. Il Movimento 5 Stelle e la Lega, infatti, hanno depositato un emendamento unitario in materia di appalti pubblici.
Tra le proposte presentante c’è la richiesta di restringere l’operatività dell’affidamento diretto in deroga ai soli appalti relativi a lavori di messa in sicurezza di strade, edifici pubblici, scuole e patrimonio comunale e solamente per quei Comuni che sono destinatari del fondo di 400milioni di euro stanziato proprio dalla Legge di Bilancio.
La legge di conversione del Decreto Semplificazioni è appena approdata alla Commissione Lavori Pubblici del Senato, dove dovrà essere discussa e votata: la partita sull'affidamento diretto è ancora aperta.