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L’accesso agli atti è un istituto giuridico afferente alla trasparenza e all’imparzialità, consistente nel diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti in possesso della pubblica amministrazione, disciplinato in via generale dagli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990.
Presupposto normativo prodromico all’esercizio del diritto di accesso da parte dell’interessato è il possesso di “un interesse diretto, concreto e attuale strettamente collegato ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”.
Secondo la giurisprudenza, l’interesse in questione deve essere “non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso”, di talché il difetto di idonea motivazione, e quindi della prova dell’interesse qualificato richiesto dalla legge, giustifica il rifiuto dell’amministrazione di consentire l’accesso ai documenti richiesti.
Non è escluso, tuttavia, che la motivazione possa considerarsi in re ipsa nella stessa richiesta, allorquando si possa ravvisare un collegamento tra la titolarità della situazione legittimante l’accesso e l’attività amministrativa oggetto della richiesta.
Ad esempio, in tema di appalti, la giurisprudenza ha affermato che il soggetto aggiudicatario di un appalto di servizi con la P.A. ha un interesse qualificato ad accedere agli atti con i quali la stazione appaltante ha provveduto a risolvere unilateralmente il contratto non essendo né plausibile né legittima la ragione adottata – nel caso al vaglio del giudice – la giustificazione del diniego di accesso, ovvero che l’istante non avrebbe motivato la sua richiesta, atteso che – in quel caso – la motivazione dell’istanza di accesso era in re ipsa, trattandosi, nella specie, di un soggetto coinvolto nel procedimento e non estraneo ai rapporti con l’amministrazione aggiudicatrice.
Un’ulteriore limitazione che legittima il rifiuto dell’amministrazione all’ostensione dei documenti, invece, è strettamente connessa alla natura dell’atto del cui accesso si tratta.
L’art. 24, co. 1, L. n. 241 del 1990 prevede, infatti, una serie di esclusioni, individuando limitazioni all’esercizio del diritto di accesso in relazione ad esigenze di segreto o di riservatezza concernenti determinati documenti amministrativi, poste sia nell’interesse pubblico sia nell’interesse di terzi.
In particolare, il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato e nei procedimenti tributari, nonché nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.
Ulteriori esclusioni sono previste nei confronti dei procedimenti selettivi e nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.
Inoltre, non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni.
A controbilanciare le ipotesi di esclusione dal diritto di accesso, vi è la disposizione di cui all’art. 24, co. 7, L. n. 241/1990, secondo cui “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
In tale ipotesi gli interessi giuridici del richiedente prevalgono, tendenzialmente, sulle ragioni che giustificano la sottrazione del documento dal diritto di accesso.
Un ulteriore principio della disciplina generale dell’istituto dell’accesso agli atti meritevole di disamina, si rinviene nel disposto dell’art. 24, co. 4, L. n. 241 del 1990, secondo cui “l’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento”.
Tale potere consente all’amministrazione di posticipare l’ostensione dei documenti fino al momento in cui vengono meno le ragioni che hanno giustificato il rifiuto all’accesso immediato.
Per quanto riguarda, gli aspetti procedimentali dell’accesso agli atti, l’art. 25, co. 4, della L. 241/1990 sancisce il principio del c.d. silenzio-diniego e prevede che l’Amministrazione debba rispondere alla richiesta di accesso agli atti entro il termine di trenta giorni, decorsi i quali la stessa si intende respinta.
In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale entro il termine decadenziale di 30 giorni, ex art. 116 C.p.a., ovvero chiedere, nello stesso termine - ma solo per gli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali - al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione.
La disciplina generale del diritto di accesso ai documenti amministrativi è completata dal regolamento adottato con D.P.R. 184/2006, che pone a carico dell’amministrazione destinataria della richiesta di accesso anche l’obbligo di darne comunicazione ai soggetti controinteressati, consentendo a questi ultimi di formulare motivata opposizione entro 10 giorni, previsione senz’altro applicabile anche in materia di accesso agli atti di gara.
Il diritto di accesso agli atti, inoltre, trova una disciplina specifica nell’ambito della contrattualistica pubblica. Difatti, l’art. 53, co. 1 del D.Lgs. n. 50 del 2016, assoggetta il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, alla disciplina generale di cui agli artt. 22 e ss., L. n. 241/1990 “salvo quanto espressamente previsto nel presente codice”.
Il rapporto tra la normativa generale in tema di accesso e quella particolare di cui al Codice dei Contratti Pubblici va posto in termini di complementarietà, nel senso che le disposizioni contenute nella L. n. 241/1990 trovano applicazione ogni qual volta non si rinvengano disposizioni derogatorie nel D.Lgs. n. 50/2016, le quali trovano la propria ratio nel particolare regime giuridico di tale settore dell’ordinamento.
La clausola di riserva ex art. 53, citato mira a garantire il giusto contemperamento tra le generali esigenze di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa e le finalità proprie della contrattualistica pubblica, ovvero la tutela della libera concorrenza e dell’interesse pubblico di garantire il miglior contraente per l’amministrazione, nonché l’individuazione delle condizioni complessivamente più vantaggiose per l’affidamento dell’appalto.
La suddetta esigenza si manifesta, con tutta evidenza, già nella rubrica dell’art. 53 del D.Lgs. n. 50 del 2016, recante “accesso agli atti e riservatezza”, che alla possibilità di accedere agli atti di gara sembra contrapporre la necessità di garantirne la riservatezza, intesa in senso ampio e diretta non solo alla tutela della singola impresa ma anche dell’interesse pubblico al regolare svolgimento della gara.
Su questa lunghezza d’onda, difatti, si pongono sia la circostanza che per accedere agli atti di gara occorre, salvo ipotesi eccezionali, aver partecipato alla gara, sia le ipotesi di differimento dell’ostensione, sia quelle di esclusione dell’accesso specificamente disciplinate dall’art. 53.
In merito al primo dei profili sopra richiamati, dunque, la partecipazione alla procedura di affidamento rappresenta il presupposto necessario e, di regola, sufficiente per accedere agli atti di gara, anche se, benché in ipotesi eccezionali, la giurisprudenza ha ammesso l’accesso di terzi interessati - che non hanno partecipato alla gara ma ai quali è stata riconosciuta la titolarità di situazioni giuridiche soggettive di rilievo - a valutare l’effettivo possesso dei requisiti di legge da parte dell’aggiudicatario.
Con riferimento al richiamato potere di differimento, invece, l’art. 53, co. 2, del D.Lgs. n. 50 del 2016, quale espressione del generale principio di cui all’art. 24, co. 4, L. n. 241 del 1990, stabilisce che il diritto di accesso è differito:
“a) nelle procedure aperte, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime;
La ratio del differimento in materia di appalti persegue la finalità di tutelare oltre alla sfera di riservatezza delle imprese partecipanti al pubblico incanto, anche – e soprattutto - la garanzia della correttezza e trasparenza dei comportamenti connessi alla presentazione delle offerte, al fine di garantire la massima concorrenza, principio cardine cui è ispirata l’intera materia dei Contratti Pubblici.
Infine, in relazione al potere di sottrarre gli atti e i documenti di gara dal novero di quelli ostensibili, l’art. 53, co. 5, del D.Lgs. n. 50 del 2016 disciplina l’esclusione del diritto di accesso e di ogni forma di divulgazione in relazione:
“a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali;
Il successivo comma 6 dell’art. 53, D.Lgs. n. 50 del 2016, nell’ipotesi di esclusione di cui alla lettera a) del comma 5, consente, tuttavia, la discovery dei documenti per il concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto, in armonia con la disciplina generale di cui all’art. 24, co. 7, L. n. 241/1990.
Si tratta del c.d. accesso difensivo che, in ragione di un contrapposto diritto alla riservatezza – stavolta da intendersi in senso stretto e riferito specificatamente alla singola impresa – avente ad oggetto segreti tecnici o commerciali, consente il diritto di accedere limitatamente a quegli atti o documenti di gara la cui ostensione risulti necessaria per curare o per difendere gli interessi giuridici dell’istante.
In particolare, è stato affermato che “nel quadro del bilanciamento tra il diritto alla tutela dei segreti industriali ed il diritto all’esercizio del c.d. “accesso difensivo” (ai documenti della gara cui l’impresa richiedente l’accesso ha partecipato), risulta necessario l’accertamento dell’eventuale nesso di strumentalità esistente tra la documentazione oggetto dell’istanza di accesso e le censure formulate.
Sotto diverso, ma speculare aspetto, inoltre, l’onere della prova del suddetto nesso di strumentalità incombe, secondo i principi generali del processo, su chi agisce”.
Avv. Daniele Bracci, Studio legale Piselli&Partners
Giurisprudenza
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